Tra i vini campani, l’Asprinio è sicuramente quello più immediatamente riconoscibile non solo per il carattere “aspro” da cui discende il nome ma soprattutto perché, a differenza di altri vitigni, ha alle spalle una storia di secoli attestata sia da fonti documentali che da citazioni letterarie; Infatti, del vitigno e del vino Asprinio e della sua area tipica di coltivazione e produzione – la pianura a nord di Napoli – si hanno diverse notizie documentali, alcune risalenti alla fine del 1400, come un atto notarile del 1495 per il contratto di affitto di un podere di sei moggia nel circondario di Caivano che prevedeva anche la fornitura al proprietario di due vasi di vino, uno di asprinio ed uno di verdesca, oltre al reinnesto delle uve nere con uve verdesche e asprinie. O un altro documento del 1584, che riporta la rendita di 332 ducati per la produzione di 103 botti di vino (Libertini, 2003). Circa l’origine del vitigno, sono state formulate diverse ipotesi.
La tradizione popolare vuole far risalire la coltivazione dell’Asprinio nella zona ai primi del ‘500. Si vuole, ma senza alcuna prova storica, che Luigi XII di Valais, Re di Francia detto “Padre del Popolo” (nato a Blais 1462 – morto a Parigi 1515), disceso nella penisola italiana all’inizio del 1500 ed impadronitosi prima del Ducato di Milano e quindi del Regno di Napoli che, poi, dovette cedere agli Spagnoli (1504), importasse dalla Francia una certa quantità di vitigni che, avendoli fatti mettere a sito nelle terre del Casertano, ne ottenne l’Asprinio.
A convalidare l’antichità di questo gradevole prodotto enologico va ricordato che da un “Assisa del vino” in data 15 febbraio 1640 risulta che il prezzo dell’Asprinio era di denari nove la caraffa, (la “caraffa” equivalente a trentatre once di liquido, poco meno di un litro).
Questo tipico prodotto partenopeo che, forse, aveva in un certo qual modo colpito l’attenzione della moglie del Re Gioacchino Murat, portò la Regina Carolina a scrivere in una lettera: “Questa e la terra promessa, nella campagna si vedono festoni di viti attaccati agli alberi con sparsi grappoli di uva assai più belli di quelli che gli Ebrei portarono a Mosè. Spero che quanto ti dico ti ispiri il desiderio di venire a vedere questo paese, vale la pena di fare cinquecento leghe per vederlo.”
Il vitigno Asprinio avrebbe forse un’origine molto più antica, risalente addirittura agli Etruschi, dal momento che ancora oggi viene allevato tradizionalmente su monumentali alberate, un tipo di coltivazione direttamente mutuato da questa misteriosa popolazione. Tale sistema porta le viti ad arrampicarsi, maritate al pioppo o all’olmo, fino a circa 15 metri di altezza, fornendo delle imponenti barriere verdi, cariche di grappoli, che devono essere raccolti su altissime scale. E di vero matrimonio si tratta e deve essere celebrato in un’epoca ben precisa.
Columella , così scrive: “Prima che l’albero abbia preso tutta la sua forza, bisognerà piantare anche la vite. Se si maritasse un olmo ancora tenero, non potrebbe sostenere il peso, se poi si affiderà la vite ad un olmo vecchio, questo ucciderà la sua sposa”
“Delle cose rustiche ovvero dell’agricoltura teorica”
Onorati Nicola o Onorati Columella (XVIII) frate francescano, pioniere nelle riforme agricole; volle aggiungersi il secondo nome Columella in onore del classico autore del De Rustica. Ancora oggi, il paesaggio della zona è dominato dalle alberate, spesso disposte ai margini degli appezzamenti, dove le viti sono piantate, franche di piede, in poste di 3-4 ceppi.
Plinio il Vecchio -Como 23 – Stabiae 25 agosto 79 – scrittore, ammiraglio e naturalista romano.
Amedeo Maiuri (Veroli 7 gennaio 1886 – Napoli 7 aprile 1963 -archeologo italiano.) Scrive: “Sono i campi delle viti eccelse di Plinio, materialmente abbracciate agli alti pioppi, i campi delle uve più feconde di mosto e del vino arbustivo, come se da quella stretta tenace a quei tronchi gravi e sostenuti, un poco di ligneo umore potesse calare nel succo del vino”.
L’alberata risale a tempi remoti e già in un testo paleocristiano del secondo secolo, “Il pastore d’Erma”, si può leggere : “Andando per il campo e osservando un olmo e una vite, meditavo su di essi e i loro frutti. Mi apparve il pastore e mi disse: “Mediti sull’olmo e sulla vite?”. ….. “La vite porta il frutto, l’olmo è un albero senza frutto. Ma la vite, se non sale sull’olmo, non può dare frutti in abbondanza, giacendo per terra. Il frutto che poi porta, se non è sospeso all’olmo, marcisce. La vite che si attorciglia all’olmo produce frutto da parte sua e da parte dell’olmo”.